I prodotti biologici si sono sempre più affermati, anno dopo anno, in Italia e nel mondo. Nel 2020, dopo lo scoppio della pandemia, l’attenzione dei consumatori al mondo bio è sensibilmente aumentata, anche perché si è intrecciata a doppio filo con i temi della salute, del rispetto dell’ambiente e della sostenibilità, sotto la lente sia dei consumatori, sia delle istituzioni dell’intero pianeta.
A cura di Il Sole24ORE
Nei giorni scorsi è stato anche il neo-premier, Mario Draghi, ad accendere i riflettori sulla transizione ecologica del nostro Paese. «Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole educazione protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane», ha dichiarato dinnanzi al Parlamento, mettendo in rilievo temi cari al mondo bio. Temi che per altro saranno al centro dell’agenda politica europea: il Green Deal europeo ha già indicato importanti sfide per raggiungere la neutralità climatica del Vecchio Continente entro il 2050. L’agricoltura avrà un ruolo chiave visto che dovranno essere ridotti del 50% i fitofarmaci di sintesi e gli antibiotici e del 20% dei fertilizzanti chimici. In più, nel lungo percorso tracciato fino al 2050, l’Europa si propone già entro il 2030 di far diventare i prodotti alimentari europei uno standard globale in tema di sostenibilità e di dedicare all’agricoltura biologica almeno il 25% della superficie agricola europea.
Italia al primo posto per superficie coltivata bio
Il nostro Paese si è saputo distinguere sul tema del biologico. Sul piano produttivo l’Italia è infatti al primo posto in Europa per numero di aziende agricole impegnate nel settore: nel 2019 gli operatori bio erano 80.643, in crescita del 2% rispetto al 2018, mentre le superfici coltivate a biologico sono arrivate a sfiorare i 2 milioni di ettari, con un rialzo sempre del 2%. Dal 2010 al 2019 il numero degli operatori è cresciuto del 69%, mentre gli ettari di superficie biologica coltivata sono aumentati del 79%. E’ quanto contenuto nel rapporto “Bio in cifre 2020” dell’Ismea, presentato da Coldiretti in occasione della pubblicazione dello studio annuale del Sinab, Sistema di Informazione Nazionale sull’agricoltura biologica. Più nel dettaglio, secondo lo studio, l’incidenza della superficie biologica nel nostro Paese ha raggiunto, sempre nel 2019, il 15,8% della Superficie Agricola Utilizzata a livello nazionale, e questo ha posizionato l’Italia di gran lunga al di sopra della media dell’Unione europea, che nel 2018 si attestava all’8%. Anche i principali Paesi produttori come Spagna (10,1%), Germania (9,07%) e Francia (8,06%) sono un passo indietro rispetto al nostro Paese.
Cresce l’import, ma occorrono più controlli
Nel 2019, sempre secondo i dati di Ismea, sono aumentate sia le importazioni, sia le esportazioni di prodotti biologici. L’acquisto di alimenti bio da Paesi extracomunitari ha registrato un incremento complessivo del 13,1% delle quantità totali rispetto all’anno precedente, pari a circa 210 milioni di chili, quasi un terzo delle quali sono state comprate in Asia. I cereali, le colture industriali e la frutta fresca e secca sono le categorie di prodotto biologico più importate, con un'incidenza rispettivamente del 30,2%, 19,5% e 17%. I tassi di crescita delle importazioni bio più rilevanti si sono avuti per la categoria di colture industriali (+35,2%), di cereali (16,9%) e per la categoria che raggruppa caffè, cacao, zuccheri, tè e spezie (+22,8%). D’altra parte va detto che i prodotti bio coltivati in alcune aree del mondo non rispettano gli standard imposti nell’Unione europea. Così anche Coldiretti ha esortato a dare al più presto seguito alla raccomandazione della Corte dei Conti europea, ossia ha auspicato un rafforzamento dei controlli sui prodotti biologici importati. Inoltre Coldiretti si augura che siano promosse le materie prime Made in Italy, in modo non solamente da garantire al consumatore prodotti sicuri, ma anche in modo da fornire un ulteriore stimolo di crescita al comparto e concorrere al raggiungimento del target del 25% di superficie investita a coltivazioni biologiche, indicato nella strategia Farm to Fork, uno dei pilastri del New Green Deal.
Prodotti italiani gettonati all’estero, occhi puntati sulla Cina
Se da una parte sono aumentate le importazioni, sono ad ogni modo salite anche le vendite all’estero di prodotti bio Made in Italy. In base ai dati raccolti da Nomisma, nel 2020 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto 2,6 miliardi di euro, con una crescita dell’8% circa rispetto al 2019. I nostri prodotti bio sono acquistati soprattutto in Germania, Scandinavia e negli Usa, un po’ meno richiesti, invece, in Gran Bretagna. Nell’ultimo periodo è cresciuto l’interesse per i prodotti bio Made in Italy anche da parte della Cina. Secondo le rilevazioni di Nomisma il 19% della middle-upper class cinese delle principali città cinesi nel 2020 ha acquistato almeno un prodotto bio Made in Italy, considerandolo garanzia di qualità, soprattutto per quanto riguarda le macro-aree del lattiero-caseari, del baby food, della carne, della pasta e dei prodotti da forno. La conquista del mercato cinese potrebbe rappresentare per l’industria italiana del bio uno sbocco promettente considerando negli ultimi dieci anni le vendite bio nella Repubblica Popolare sono volate del 923%. Nel 2018 il settore del bio aveva raggiunto in Cina un giro d’affari attorno a 8 miliardi di euro, con un balzo del 70% rispetto al 2015. La Cina, ad oggi, è il quarto mercato nel mondo per vendite bio.
Consumatore più esigente in tema sostenibilità
Bilancia commerciale a parte, nel 2020 in Italia c’è stato un boom di richieste di prodotti bio. Numeri alla mano, secondo i dati di Ismea, nel periodo giugno 2019-giugno 2020 i consumi domestici di alimenti biologici hanno la cifra record di 3,3 miliardi, con una crescita del 4,4% rispetto all’anno precedente. Anche secondo i dati elaborati da Nomisma, la pandemia non ha mutato l’interesse e la sensibilità del consumatore verso i temi del biologico e sostenibilità: 7 italiani su 10 sono convinti che tutti i cittadini possono contribuire a salvaguardare il pianeta con piccole azioni quotidiane. E tra le azioni più frequenti ci sono la lotta agli sprechi alimentari (64%), l’acquisto di prodotti italiani, locali o a km0 (42%) e di prodotti alimentari a marchio bio (34%). A seguito della pandemia, inoltre, il 48% degli italiani ha deciso che adotterà uno stile di vita più sostenibile e il 39% si è ripromesso di aumentare l’acquisto di prodotti bio nel 2021. Secondo le statistiche elaborate da Nomisma, le vendite di biologico sul mercato italiano l’anno scorso dovrebbero avere superato i 4,3 miliardi di euro, dei quali 3,9 miliardi generati dai consumi domestici (+7% rispetto al 2019). Tuttavia i consumi bio “away from home” dovrebbero avere accusato un calo del 27% rispetto allo 2019, attestandosi attorno a 500 milioni. Ovviamente la contrazione dei consumi fuori casa è riconducibile alle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria in corso a bar e ristoranti. In base all’indagine di Nomisma, gli italiani hanno mostrato una crescente attenzione non solamente verso il bio, ma in generale verso prodotti local e sostenibili. Comunque l’anno scorso l’88% delle famiglie italiane ha avuto almeno un’occasione di acquisto di un prodotto bio. E’ aumentata inoltre l’incidenza del bio sul totale del carrello alimentare, passando dal 2,2% del 2014 al 3,6% del 2020.
Prodotti bio nello scaffale del supermercato, ma non solo
A livello di canali di vendita, la grande distribuzione (Ipermercati, Supermercati, Lsp e Discount) si conferma il canale principale delle vendite bio nel nostro Paese, con 2 miliardi di euro di vendite nel 2020 (dato aggiornato ad agosto 2020) e un +5% sul 2019, pari al 53% del mercato nazionale (dati Nomisma). Comunque sono aumentati anche i negozi specializzati bio, dell’8% circa. I prodotti bio sono commercializzati anche attraverso canali diversi quali negozi di vicinato, farmacie, mercatini, GAS (Gruppo di Acquisto Solidale), che complessivamente nel 2020 hanno raggiunto un fatturato di 836 milioni di euro (il 22% del mercato domestico), con una crescita del +10%. Sono inoltre state ottime le performance dell’e-commerce, dove le vendite di biologico hanno vantato una crescita del +143% rispetto al 2019, superiore a quella segnata dai prodotti alimentari in generale (+125%). Se nel periodo del lockdown c’è stato un vero e proprio “boom”, anche nei mesi successivi le vendite di bio hanno continuato a mantenere un ritmo di crescita notevole facendo registrare un +182% rispetto allo stesso periodo del 2019. Per quanto riguarda i prodotti bio più venduti in Iper e Supermercati, al primo posto si sono collocate le uova fresche (con un trend di crescita del +12% sul 2019 e vendite per 109 milioni di euro), seguite da frutta in composta o fresca, verdura fresca, pasta, yogurt, bevande vegetali, panificati croccanti, latte fresco e olio extravergine di oliva.
Boom anche di prodotti healthy e free form
Negli ultimi anni, oltre ai prodotti bio, hanno avuto gran successo quelli così detto ‘healthy’, ossia quelli sani o anche e solo percepiti come tali. Così nel carrello della spesa sono comparsi integratori, ingredienti benefici, prodotti funzionali arricchiti con uno o più ingredienti che fanno bene alla salute, oppure caratterizzati dall’assenza di qualche componente considerata dannosa. Si tratta dei così detti prodotti ‘free from’, ovvero cibi senza zuccheri aggiunti, senza olio di palma, senza grassi idrogenati, senza sale, senza conservanti, senza Ogm e così via. In particolare, secondo i dati dell’Osservatorio Immagino GS1 Italy realizzato in collaborazione con Nielsen, nell’anno che va dal giugno 2019 al giugno 2020, il giro d’affari dei prodotti ‘free from’ è stato di circa 6,9 miliardi di euro, in crescita del 2,2% sull’anno precedente. L’emergenza causata dal Covid, poi, ha finito per aumentare la domanda di prodotti con certe specificità, anche se il loro peso sul totale della spesa alimentare in supermercati e ipermercati è arretrata al 25,4%, dal precedente 26,9%. Ad ogni modo i prodotti ‘free form’ sono quelli che negli ultimi quattro anni hanno fatto registrare il giro d’affari più rilevante. La parte del leone è stata giocata da i prodotti ‘senza zuccheri aggiunti’, che nel 2019 sono volati del 9,1%. Un’altra macro categoria di alimenti che ha registrato notevoli tassi di crescita è stata quella dedicata alle intolleranze, con attenzione principale rivolta a glutine e lattosio. L’offerta negli scaffali dei supermercati e ipermercati di tale genere di prodotti aumenta anno dopo anno. In totale il giro d’affari si aggira a 3,7 miliardi.
Attenzione ai falsi miti
L’attenzione alla salute è sicuramente cresciuta nella cultura del consumatore e il trend ha accelerato proprio in tempi di pandemia. D’altra parte occorre non cadere in falsi miti e porre attenzione a cibi che sembrano sani, ma spesso non lo sono. Coldiretti ha lanciato l’allarme contro i prodotti importati da Paesi lontani, dove non esistono le indicazioni e le restrizioni normative che vigono in Europa in quanto a uso di pesticidi e antibiotici. Ad esempio le miracolose bacche di Goji prodotte in Cina sono spesso risultate fuori norma, ossia all’occhio attento dell’analista sono risultate ricche di vitamine, ma anche di sostanze nocive (il 13% dei campioni analizzati era fuori norma). Altrettanto si può dire per il riso del Pakistan. Nella classifica dei prodotti a rischio ci sono anche i melograni della Turchia, il tè della Cina, i fagioli secchi del Brasile. Di sicuro chi opta per prodotti Made in Italy evita con maggiore probabilità il Dicoful e il Carbofurano, ossia pericolosi pesticidi. La stessa Coldiretti ha raccomandato di consumare prodotti europei, quanto meno per evitare la contaminazione di insetticidi che non sono ammessi nel Vecchio Continente. I prodotti di origine extracomunitaria hanno infatti una percentuale di irregolarità, secondo l’Efsa, del 5,8%, otto volte superiore a quella dei prodotti Made in Italy.